Editoriale “La borghesia dal fascismo non è mai tornata indietro”- febbraio 2015

antifascismo_militante

Alcuni fra i recenti fatti di cronaca, primo fra tutti l’aggressione ad Emilio, ancora una volta ci confermano- anche se non ce n’era bisogno- la natura fascista dello stato.
L’aggressione al compagno è solo una delle manifestazioni del fascismo: in questo caso una pratica squadrista coperta dallo stato che storicamente sguinzaglia i “camerati” all’occorrenza contro compagni, immigrati e tutti coloro ritenuti “diversi” con l’obiettivo di sviluppare la mobilitazione reazionaria per creare divisione tra gli sfruttati. Il fascismo non è infatti una parentesi relegata alla storia come sostenuto dai “pacifinti” e dagli antifascisti da tastiera dissociatisi dal corteo del 24, bensì è il volto autoritario della democrazia borghese, quando questa dismette la sua maschera liberale, avvertendo il pericolo di perdere il controllo e il potere.
Non è un caso che nei momenti di crisi, e quindi di lotta, i fascisti vengano maggiormente utilizzati dalla borghesia; pensiamo al loro intervento nella questione abitativa per cercare di creare divisione tra proletari italiani ed immigrati, come accaduto nelle occupazioni organizzate da Casapound (come sappiamo ampiamente foraggiata dalle istituzioni) oppure ai loro tentativi- respinti- di infiltrarsi nel movimento No Tav, No Muos o in quello solidale al popolo palestinese.
Come organo di informazione è proprio dall’informazione che vogliamo partire per sviluppare questo editoriale.
Cominciamo dagli avvenimenti di Cremona. Il caso in sè è emblematico perché la gravità dell’accaduto ha fatto sì che la sua narrazione, per mano dei mezzi d’informazione ufficiale, si sviluppasse su due piani. Infatti aprendo i giornali il giorno dopo l’assalto al centro sociale Dordoni si potevano leggere due versioni differenti dell’accaduto.
In un paio di casi fin da subito si è parlato di aggressione fascista ai danni di attivisti di un centro sociale. Nella maggior parte dei quotidiani però la questione è stata inserita nel vago contesto dei disordini da stadio. Quindi, a parte qualche sporadica voce fuori dal coro, l’approccio è stato quello classico, ovvero la retorica dello scontro fra bande, arma tanto meschina quanto versatile. Infatti da un lato si depoliticizza il contesto in cui i fatti sono avvenuti, dall’altro si tenta di destare il minor interesse possibile, collocando quanto successo nell’ambiente degli ultras.
Negli anni i media ci hanno abituato a questa linea che, in molti casi, è riuscita a far passare nell’indifferenza generale fatti di grande gravità. Il caso di Emilio non è però uno di questi. La generosa risposta di moltissime realtà provenienti da tutta Italia alla chiamata di sabato 24 gennaio e la rabbia che tale aggressione ha suscitato nella popolazione cremonese hanno costretto molti degli amanti della guerra fra estremismi a correggere il tiro. Ecco che così, nel giro di pochi giorni, l’ago della bilancia si è spostato notevolmente a favore di una versione più realistica di quanto accaduto, ed è proprio su quest’ultima che è interessante soffermarsi.
Infatti quando la natura fascista di un’aggressione, che ha ridotto un compagno in fin di vita, non può più essere taciuta, si passa a uno strumento più drastico ed efficace: l’autoassoluzione dello stato. Di colpo ecco comparire dichiarazioni di onorevoli e rappresentanti di partito che invocano l’applicazione della legge Scelba da parte delle istituzioni e che pontificano sull’incostituzionalità di gruppi che apertamente si dichiarano fascisti. Quella che viene fatta passare per sana indignazione antifascista è però solamente bieca miopia politica, perché questo stato non può condannare il fascismo senza condannare anche se stesso. Non può farlo, in quanto il fascismo non è un entità aliena alla struttura della società, troppo spesso lasciato libero di agire, ma è uno strumento utilizzato dalla classe al potere e quindi parte e fondamento della società stessa.
Basti pensare all’inchiesta Mafia Capitale. Un uomo come Massimo Carminati, un ex-NAR, ha potuto agire a piede libero per quarant’anni grazie ai propri appoggi nei vari livelli del mondo politico ed istituzionale, in particolar modo con le forze dell’ordine e i servizi segreti (che di deviato hanno solo il racconto che ne viene fatto).
Risulta difficile capire come un individuo che ha cominciato la sua attività fuori dalla sfera “legale” come eversivo nero sia potuto entrare così facilmente e in profondità in connessione con le strutture statali, che tecnicamente avrebbero dovuto perseguirlo, senza assumere che esse per loro stessa natura vedessero la realtà politica a cui Carminati apparteneva come interlocutrice e senza che tale realtà avesse un’internità nelle suddette strutture.

Anche dal punto di vista storico non si può negare come il radicamento del fascismo all’interno dello stato fondi le sue basi fin dal secondo dopoguerra. Dopo la liberazione, i dirigenti statali in carica durante il ventennio furono in grande parte condonati e ricollocati nelle nuove strutture della repubblica: una tendenza evidente soprattutto nel settore della polizia in cui, in soli cinque anni, gli oltre cinquemila partigiani, che finita la guerra si erano arruolati, furono a uno a uno epurati. Parallelamente invece gli agenti dell’OVRA, polizia segreta fascista, venivano reintegrati nei servizi italiani e nella CIA. La scuola è rimasta immutata insomma. Questo significa che lo stato ha volutamente fatto sì che un organo di vitale importanza per il controllo sulla popolazione, come la polizia, fosse lasciato in mano a individui addestrati ad applicare violentemente leggi razziste e reazionarie e a reprimere nel sangue ogni forma di dissenso politico. Del resto poter contare su una polizia che fino al giorno prima perseguiva chi durante la resistenza aveva impugnato le armi per abbattere il regime, si rivelò uno strumento efficacie per evitare che l’impostazione assunta dalla nuova Repubblica post-fascista fosse messa in discussione. Aspetto che si acuii ulteriormente durante gli anni ’70, periodo in cui si sviluppò una forma di critica e opposizione attiva alla struttura capitalistica dello stato senza precedenti, contro cui i padroni misero in campo vari strumenti della controrivoluzione tra cui le stragi ad opera dei fascisti tramite i servizi segreti.
Infatti siamo convinti di non rivelare un segreto a nessuno asserendo che tutt’oggi è evidente un carattere marcatamente destrorso in chi indossa una divisa, soprattutto nei corpi assegnati alla repressione violenta, che non potrebbero essere altrimenti, dato il ruolo di servi dello stato che assolvono.

Se nelle questure il fascismo è evidente, altrettanto possiamo dire per gli insegnamenti “storici” trasmessi dalle istituzioni scolastiche. Da anni infatti, in occasione del 10 febbraio- il cosiddetto giorno del ricordo, assistiamo a una vergognosa riabilitazione del fascismo tramite la quale alle giovani generazioni viene insegnato che “i morti sono tutti uguali” e che “i fascisti sono stati uccisi in quanto italiani”, riscrivendo la storia e ribadendo la contrapposizione tanto cara alle istituzioni tra italiani brava gente- povere vittime- e i “barbari” slavo comunisti.
E’ così che le cifre dei presunti infoibati salgono di anno in anno e intere scolaresche vanno in visita alla foiba di Basovizza, dove in realtà non è stato infoibato nessuno. In altre parole viene condotta una decontestualizzazione delle vicende tale da far passare i fascisti da carnefici a vittime, omettendo i loro crimini ai confini orientali perpetrati per decenni: omicidi, distruzione di villaggi, stupri, deportazioni nei campi di internamento per slavi, incendi delle case del popolo o di luoghi di ritrovo come il Narodni Dom a Trieste, italianizzazione forzata di lingua, nomi e toponimi.
In questo processo di riscrittura della storia parallelamente si getta fango sulla resistenza partigiana: purtroppo abbiamo vari esempi di produzioni, per così dire “culturali”, che vanno in questa direzione, che “vogliono emozionare” e pertanto zeppe di errori storici grossolani, non casuali nell’intento finale di criminalizzare i resistenti e riabilitare i fascisti in nome di una memoria “condivisa” e quindi pacificata (pensiamo a Magazzino 18 di Simone Cristicchi o Il Segreto d’Italia di Antonello Belluco per dirne un paio).

Ma quello del revisionismo storico è solo uno dei terreni in cui i fascisti si attivano con la complicità, i finanziamenti e la copertura dello stato. Così come le versioni “storiche” fasciste sono avallate da un apparato politico, culturale, scolastico e mediatico, così la propaganda xenofoba e in particolare islamofoba viene sostenuta apertamente o velatamente da tutte le forze istituzionali.

La “caccia all’islamico” incrementata dopo l’attacco a Charlie Hebdo ha di fatto permesso a questi servi di aumentare i loro attacchi a cittadini di origine araba, a moschee e sedi di associazioni islamiche, riproponendo la loro “crociata” contro l’Islam e infine lo scontro di civiltà. La loro propaganda e le loro azioni – ora ancor più coperte e sostenute dalle istituzioni- si inseriscono infatti a pieno titolo in quella mobilitazione reazionaria che la borghesia fomenta proprio per catalizzare a destra il malcontento sociale e quindi per mantenere inalterato lo status quo.
La questione parigina ha “riportato la guerra in casa” e oggi l’attacco a Charlie Hebdo è stato utilizzato dalle istituzioni per inasprire la repressione, in Europa e in Italia. Non a caso, anche nella nostra città, i fascio-leghisti non hanno mancato l’occasione per effettuare perquisizioni e controlli a tappeto in moschee e luoghi di culto, con il consueto sostegno totale degli organi di stampa cittadini.
Per vedere un esempio lampante del ruolo che oggi i fascisti e i nazisti ricoprono per conto della borghesia, basta rivolgersi alla giunta golpista di Kiev, intensamente voluta, legittimata e difesa, anche militarmente, dal blocco imperialista occidentale a guida USA. Anche guardando questo scenario è evidente come i nazisti siano i fedeli cani da guardia degli interessi della borghesia guerrafondaia contro lavoratori e proletari che ad essi stanno resistendo organizzati nelle Repubbliche Popolari della Novorossija.
Riteniamo quindi doveroso ribadire come non si possa prescindere dall’antifascismo per portare avanti la lotta contro questo sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e che le cosiddette realtà neofasciste siano funzionali al mantenimento di questa società. Questo a prescindere dalle letture flaianiane tanto in voga negli ultimi anni.
Perché anche se politici e giornalisti fingono di non saper distinguere fra fascisti e antifascisti, il manganello e il martelletto sanno con estrema precisione da che parte colpire.
Perché anche questa volta gli unici denunciati dopo l’aggressione di Emilio sono quattro suoi compagni del Dordoni.
Perché la stessa celere che difende i palazzi del potere, il cantiere in Val di Susa e butta i colpevoli di povertà fuori di casa, la vediamo sempre schierata a difendere la presenza dei fascisti nelle nostre strade, anche a costo di avvelenare con i gas CS gli abitanti della città di Cremona pur di salvaguardare un locale vuoto.
Perché sette compagni accusati di aver dato fuoco a un compressore stanno scontando una pena decisamente maggiore di quella somministrata ai tre assassini di Dax a Milano.
Perché siamo convinti che non fosse questo il mondo per cui abbia lottato chi impugnò le armi e mise in gioco la propria vita, per abbattere il regime nazifascista e instaurare un ben altro modello di società.

Per tutti questi motivi come compagni di RadiAzione affermiamo che sia lo stato ad aver spaccato la testa di Emilio e per questo, con i mezzi che competono ad una radio, continueremo ad attaccare esso e il fascismo di cui si dota.

11:30:00-Editoriale di RadiAzione-Febbraio- diretta-64kbps

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