Millenovecentoquattordici #15

guerrallaguerra

Guerra alla guerra! I volti sfigurati dalla malattia umana che ha vomitato terra sull’enorme bara bellica nota come “trincee”, ci guardano con una schiettezza sconvolgente. Non c’è l’urlo disperato delle sofferenze e delle speranze tradite, non c’è accusa né condanna, c’è solo una presenza tragica e beffarda insieme. Il segno della sconfitta. Nostra. Umana. Nell’era dell’immagine e dell’apparenza, questi volti senza volto sono quanto di più bello ci abbia lasciato quella guerra merdosa. La nuova estetica, inseguita dagli artisti senza posa nei decenni che hanno preceduto il conflitto, è emersa senza che ce ne accorgessimo. Abbiamo tracciato confini e li abbiamo resi sempre più invalicabili, chiusi, invocando protezione e sicurezza, uccidendo e lasciandoci uccidere così che linee invisibili venissero marcate con il sangue. Indelebili. E siamo rimasti gli unici sul pianeta a non poterci muovere liberamente. Mutilate le gambe. Cavato il cuore all’umanità, siamo sempre più prigionieri nei solchi scavati nella terra da quella guerra maledetta.

Cemento, rigore, semplicità delle forme e delle funzioni, come pezzi di un meccano umano, siamo un tutt’uno con la demenza e l’euforia che ci hanno ingannato allora nell’illusione di poter celare, sotto un velo trasparente, la verità di carne e ossa che si è trascinata fino a noi, caparbiamente e senza pietà, come ci hanno raccontato i sopravvissuti. Una narrazione senza parole, senza arti, senza volto. Che fa orrore perché negata. Facciamo quanto più rumore possiamo pur di non ascoltarla ma è dentro di noi. Attende. Con dignità. E diritto. Abbiamo esaltato la morte, truccandola come una pagliacciata, una festa senza risate e senza gioia, e non abbiamo accolto questa vita stupenda che ha continuato a sorreggerci senza esitazioni, senza sforzo, con amore, indifferente alla nostra indifferenza. Ci guarda ancora, con i suoi occhi stupiti e senza rancore, da queste pagine di storia strappate da un libro consegnato a metà, apposta. Sta a noi ricomporre i coriandoli rimasti per terra, toglierci le maschere e tornare a giocare senza paura.

Remarque/Baümer è in ospedale, ad Alberto hanno amputato la gamba e medita il suicidio. Molti arrivano e molti vengono portati nella “stanza della morte”. Qualcuno però ritorna.. è qui, negli innumerevoli ospedali in ogni paese, che si vede il vero volto della guerra.

 

 

 

 

 

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