Millenovecentoquattordici #14

dixEcco un soldato ferito di ..Otto Dix! Autunno 1916, le trincee narrate da Remarque. Negli eserciti che si ammassarono in trincea sui vari fronti della guerra c’erano artisti come Dix, entusiasti volontari, illusionisti illusi. Euforici. Ebbri. Collaborarono in vari modi, ingranaggi di una macchina ancora più feroce dell’esercito stesso, la propaganda che fu messa in moto prima di ogni dichiarazione di guerra e che forse, non è stata mai fermata da allora. Anche se gli ingranaggi, nel tempo, sono stati sostituiti. Ogni Paese aveva un proprio ufficio della propaganda animato da nomi ammirati ovunque per le capacità espressive in campo artistico, musicale, letterario. La guerra ebbe la propria musica, la propria rappresentazione su tela, sculture e installazioni, proiezioni cinematografiche, cartoni animati, proclami e pubblicità.. Arte e scienza raffinate per realizzare un incubo collettivo, demente e vomitevole, misero e raccapricciante. Un orrore sublime. L’aspirazione artistica, scientifica e popolare di rompere le tradizioni e le costrizioni culturali e materiali, di abbattere ogni confine, di diventare un’unica umanità si è elevata come un’ubriacatura che salendo, provoca dapprima euforia e disinibizione e poi intontisce, ottunde e lascia una sensazione generale di malessere e di vuoto. La certezza di aver compiuto qualcosa di impossibile e tremendo senza averne il ricordo. Chi tornò divenne, in molti casi, “cavia” eccellente di medici di ogni tipo, impegnati a sviluppare la medicina nei più bizzarri settori. Malattie fisiche e mentali, mutilazioni e protesi, deturpazioni e ricostruzioni chirurgiche, l’elenco dei “passi in avanti” compiuti in campo medico, durante e dopo la guerra, è impressionante, un percorso guadagnato tra corpi macellati e smembrati che dalle trincee sgocciolavano fin dentro le ossa di chiunque. E che hanno continuato a sgocciolare in silenzio negli ospedali e nelle strutture sanitarie per anni. Una scia di sofferenza e sconfitta che ha seguito le generazioni future di conflitto in conflitto fino a noi. La nostra ombra. Che rivela un corpo molto diverso da come ci appare sotto le luci artificiali che ci illuminano la vita opaca e solitaria. Scienza, arte e volontà collettive per riprodurre simulacri di realtà che non puzzino di sangue, marciume e morte, che però vegliano ancora nella terra, una per tutti, sotto il sole, uno per tutti, sotto i cieli stellati, le innumerevoli storie di ognuno e di tutti insieme. I campi di guerra sono diventati campi coltivati, mangiamo cadaveri, beviamo sangue e non crediamo più ai sogni. Fuori c’è il sole, ma mi sigillo in una segreta di cemento e sbarre, inghiotto qualcosa che mi faccia star meglio e accendo le luci, così non so che tempo fa, che tempo è. Alieni della nostra terra. DADA.

 

 

 

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