Millenovecentoquattordici #11
Natale 1914. Un intervallo senza tempo nella “terra di nessuno”, la tregua. La condivisione di un rito antichissimo delle comuni celebrazioni solstiziali in tutto il continente euroasiatico. In tutto il mondo. Ci si sente piccoli davanti a un evento cosmico di rinnovamento che coinvolge tutti, ci si sente un’unica cosa, un’unica umanità, ci si scopre vicini anche se nati lontani gli uni dagli altri, ci si scopre fratelli su un’unica terra separati da uno spazio che in realtà è unito, da un tempo che non è mai passato.
Abbiamo preso a prestito la storia di “Natale pagano” di Augusto Cacopardo con la testimonianza del popolo kalasha, indoeuropeo, in una valle tra Pakistan e Afghanistan, oggi minacciato dai talebani perché non vuole convertirsi all’Islam, come un tempo non si volle convertire al cristianesimo, portando avanti le antiche tradizioni politeiste, che ancora soppravvivono in quell’improvviso riconoscimento dei simboli, dei significati, in un sentire comune che ha congelato la pazzia anche nel bel mezzo della sua piena esaltazione, la guerra. Quel che rimane inspiegabile è come abbiano potuto ricominciare..
Lasciamo Remarque/Bäumer, tornato dalla licenza, mentre fa esperienza con i prigionieri russi, un misto di riconoscimento della loro umanità e la consapevolezza che rimarranno degli estranei non avendo occasione e tempo sufficienti per conoscersi.