Mattoni, catene e altre barbarie
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A tre mesi dall’operazione di polizia coordinata dalla DIGOS di Padova, che il 18 febbraio scorso ha portato all’applicazione di misure cautelari a 11 compagni del Comitato di lotta per la Casa, con l’accusa di “associazione a delinquere” – poi caduta al riesame – persiste tuttora il sequestro della sede dell’Associazione culturale Nicola Pasian -Infospazio Chinatown, storica sede dell’area comunista in città ritenuta “luogo di ritrovo e coordinamento del comitato”, mentre l’informazione dei redattori di RadiAzione sull’emergenza abitativa viene considerata di “supporto” alle attività del Comitato definite criminali dall’accusa.
Come redazione di RadiAzione abbiamo sviluppato un’analisi di quanto successo e del prosieguo dell’inchiesta stessa fino all’autunno. Analisi che proponiamo in forma di editoriale, ovvero con i mezzi propri di un organo di informazione quale rivendichiamo di essere.
Se decine di nuclei familiari vengono buttati in mezzo a una strada ogni giorno, la maggior parte dei quali per morosità incolpevole, riteniamo necessario denunciare questo fatto e, se le stesse persone si organizzano e lottano per non subire passivamente questa pesantissima dinamica, è nostro compito dare loro voce attraverso i nostri canali.
I media tradizionali, in questi ultimi anni, hanno da un lato quasi silenziato una delle principali problematiche sociali del paese e dall’altro hanno criminalizzato la lotta per la casa. Che sia per avvalorare le misure del governo dello Stato, da cui ricevono generosi finanziamenti, o per diktat del proprietario della testata, che non di rado ha forti interessi nella speculazione sul mattone, quella attuata è l’ennesima mistificazione della realtà, funzionale al mantenimento dello stato di cose attuale.
L’inchiesta padovana, che di fatto ha anche tentato di zittire le nostre trasmissioni, è stata condotta con i chiari intenti di chiudere un punto di riferimento politico ventennale a Padova, da sempre una spina nel fianco per amministrazioni, Ater e Questura e di togliere i compagni del Comitato attivi nelle lotte dal contesto cittadino, ed è dunque dalla lotta per la casa che partiamo nello sviluppare un nostro contributo.
Quella per la casa è una lotta che nasce per la difesa di uno dei bisogni fondamentali dell’uomo, quello di avere un luogo in cui vivere.
Ad oggi in Italia sono più di 150mila le richieste di esecuzione e oltre 77mila i provvedimenti di sfratto emessi. Numeri aumentati rispettivamente del 70% e del 41% negli ultimi dieci anni. Una crescita trainata dal continuo incremento della disoccupazione e dell’impoverimento della maggior parte della popolazione, che nel contesto della crisi vede un peggioramento delle proprie condizioni di vita, pertanto si registra un costante allargamento della forbice sociale, con un tasso tra i più alti d’Europa, a dimostrazione che mentre i proletari e le classi medie pagano il prezzo della crisi, c’è chi da questo contesto trae vantaggio e profitti.
A questa grave situazione fa da contraltare una sfrenata edificazione di nuove case, di utilità sociale inesistente, visti i circa 500mila alloggi sfitti presenti in Italia e considerato che circa un quarto di essi rimane invenduto. Il quadro che si delinea è quello di un paese dove si continuano a costruire sempre più case e sempre più persone restano senza. Chi trae profitto da questa situazione è la classe imprenditoriale italiana che dagli anni ’90, grazie agli enormi profitti derivanti dalla speculazione borsistica e finanziaria, ha cominciato ad investire sempre nel settore immobiliare, con l’obiettivo di materializzare e conservare con basso rischio i profitti ottenuti. Tanto che oggi la filiera di questo settore contribuisce per oltre a un quinto al PIL del nostro stato.
Come negli USA anche in Italia si è dato via a un processo speculativo atto a continuare a produrre ricchezza di fronte al fallimento di un sistema produttivo in profonda crisi strutturale ormai da diverse decine di anni.
Nel 1998 il controllo statale sui fitti viene totalmente cancellato e il settore viene lasciato in pasto alle logiche del ”libero” mercato: gli affitti salgono e gli investimenti nel settore raddoppiano. E’ il trionfo del capitalismo selvaggio e la casa, da bene primario e imprescindibile, diviene una merce come le altre da cui estrarre profitto. Così quando nel 2007 la crisi economica si palesa con il caso dei mutui subprime negli Stati Uniti, per altro in un settore immobiliare con dinamiche non dissimili a quelle dello stivale, migliaia di persone si trovano nell’impossibilità di far fronte ad un affitto o a un mutuo, all’interno di un sistema che non garantisce più una casa a chi non può pagarla. Gli sfratti e i pignoramenti aumentano vertiginosamente e un’enorme fetta di popolazione viene rapinata due volte: da un lato con un aumento dello sfruttamento nei luoghi di lavoro e dall’altro vedendosi togliere quel poco che i loro risparmi avevano permesso loro negli anni di ottenere.
Oggi la proprietà immobiliare si sta concentrando sempre più in poche mani – le solite – e per trovare nuove fonti di profitto i signori del cemento, ben contenti di pagare 1000€ alle cene di finanziamento del partito al governo, puntano l’obiettivo sul patrimonio residenziale pubblico.
Assistiamo infatti a una progressiva aziendalizzazione degli Enti gestori di tale patrimonio, asserviti ormai alle dinamiche del mercato privato.
Padova in questo è un caso emblematico, con l’ATER commissariata da oltre un anno e gli ex dirigenti accusati di turbativa d’asta e corruzione, mentre la politica dell’ente è quella di svendere le case che dovrebbe gestire e assegnare. Le case vuote vengono infatti blindate con massicci portoni d’acciaio in attesa di essere svalutate all’asta e in quelle abitate vengono in continuazione aumentati gli affitti a fronte di un’assenza totale di manutenzione. L’intento è chiaramente quello di rendere più appetibile agli assegnatari una soluzione nel mercato privato, di modo da rientrare in possesso dell’immobile e contestualmente metterlo, dal loro punto di vista, “in sicurezza”.
In questo scenario si sviluppa in tutta Italia un forte movimento in difesa del diritto alla casa capace di combinare su larga scala una lotta di resistenza, quella agli sfratti, e una di riappropriazione, tramite occupazioni abitative, dell’enorme quantità di sfitto presente in tutte le città del paese.
Come redazione abbiamo seguito in molte occasioni questa lotta, capace di portare in strada decine di migliaia di persone e soprattutto di rappresentare un esempio importante di resistenza alla crisi capitalista nel nostro paese, che ha saputo unire proletari autoctoni con quelli immigrati facendoli convergere sotto la bandiera dei medesimi interessi di classe contro il razzismo e la guerra tra poveri che la borghesia cerca di alimentare.
Lo Stato ora è passato al contrattacco. La situazione economica del paese non lascia spazio a contrattazioni o a concessioni per smorzare la lotta: la privatizzazione di questo ramo del settore pubblico deve continuare. Dietro di essa sono troppi gli interessi che orbitano per consentire battute d’arresto.
Così, nell’ultimo anno, abbiamo purtroppo raccontato di un intensificarsi degli sgomberi delle occupazioni abitative, con centinaia di nuclei familiari sbattuti fuori di casa dalla celere e con la strada come unica prospettiva.
Sul piano legale poi, molti sono coloro che identificati come “capi” del movimento dalla questura, sono stati colpiti da provvedimenti e denunce di vario tipo, arrivando al ricorso ai reati associativi. Padova in questo è solo l’ultimo dei casi.
Questi reati, sebbene non siano finora mai arrivati a una sentenza positiva per l’accusa, prevedono da un lato la possibilità dell’applicazione delle custodie cautelari, dall’altro puntano a far passare quantomeno le accuse sui fatti specifici contestati alla fantomatica associazione a delinquere.
Nel caso dell’inchiesta che ci ha coinvolti, ad esempio, sono circa quaranta i picchetti anti-sfratto contestati per “interruzione di pubblico servizio” e “resistenza e minacce a pubblico ufficiale”.
Il tentativo è quello di far giurisprudenza, ottenendo una sentenza che sancisca l’illegalità del picchetto stesso, fatto che garantirebbe alle questure di tutto il paese un’arma in più per attaccare chi lotta e si organizza per difendere non solo la casa, ma anche il posto di lavoro, il diritto alla salute, allo studio ecc.
Se la repressione aumenta è perché, in vista di ulteriori attacchi ai proletari si stanno preparando gli strumenti per contrastare l’opposizione che ne nascerebbe. Non bisogna avere la vista acuta per scorgere ciò che si sta profilando nell’immediato futuro. Dopo il piano casa del ministro Lupi, dimmesosi a causa di un caso di corruzione che lo ha visto coinvolto, la nuova proposta del governo è quella di modificare la legge che regola il ”prestito vitalizio ipotecario”.
Inserito con un comma a caso di un decreto legge del 2005, che introduceva o modificava norme che spaziavano dall’impiantistica degli edifici alla realizzazione del ”convegno internazionale interconfessionale”, tale prestito consente alle banche di scommettere sulla vita di chi ipoteca la propria casa. Infatti si tratta di un tipo di mutuo rivolto agli over 60 (limite abbassato nel maggio 2015), che ottengono la liquidità a patto che a morte sopraggiunta o gli eredi, per i quali verosimilmente il mutuo era stato acceso, siano in grado di sanare quanto ”spetta” alla banca o quest’ultima possa rivalersi sulla casa ipotecata.
Le nuove modifiche presentate dal governo non fanno altro che peggiorare la situazione esistente, con un decreto legislativo a firma di Maria Elena Boschi, che abbassa a 18 mesi il limite temporale prima che la banca possa rifarsi dell’immobile ed elimina l’intermediazione giudiziaria da questo passaggio. Se a questo si aggiunge il meccanismo dell’anatocismo, ovvero il pagamento degli interessi sugli interessi, abrogato dalla legge di Stabilità 2014, quello che si delinea è un gioco meschino e fraudolento.
La banca concede un prestito che con molta probabilità non potrà essere sanato e, una volta passati i 18 mesi di mora, prende possesso della casa, senza passare dal tribunale e, sempre senza quest’ultimo, ne gestisce la vendita. Dopodiché, se da quest’ultima il ricavato fosse maggiore del debito, la rimanenza spetterebbe al debitore, ma nella pratica la banca svende la casa allo squalo immobiliare di turno. In questo modo la prima si arricchisce e il secondo compra una casa a un prezzo molto minore di quello di mercato.
Si tratta insomma di un sistema per sfruttare la situazione di miseria a cui sono costrette le nuove generazioni, per defraudare di quel poco che hanno quelle che hanno potuto avere una casa grazie ai loro sacrifici.
Di fronte a tutto questo appare più che evidente che i criminali non sono certo coloro che lottano per difendere la casa.
Non ci stupiamo però di quanto accaduto.
La fase che stiamo attraversando non fa diventare le banche degli usurai, nè i grandi imprenditori degli sciacalli pronti a tutto pur di garantire il proprio guadagno, lo rende solo più evidente. Come è solo più palese a chi lo stato garantisca i propri interessi.
Sappiamo però anche che se in questo paese esistono le case popolari, non è per magnanimità di governi passati, ma grazie alla lotta portata avanti dai lavoratori, non più disposti a restituire sotto forma di affitto parte del loro salario a chi già li sfruttava sui luoghi di lavoro.
La casa come l’istruzione o i diritti sul lavoro sono conquiste storiche ottenute con la lotta, e non con la delega, e la realtà odierna ci insegna, una volta di più, come solo con essa possano essere difesi.
Consci di questo, come RadiAzione continueremo a denunciare chi specula sulla vità degli sfruttati e a fare da megafono a chi si a tutto questo si oppone.
Il Comitato di lotta per la casa ha continuato in questi tre mesi le proprie attività, aggregando nuove famiglie e nuovi singoli al suo progetto.
A otto ore dal sequestro dei nostri computer, RadiAzione è tornata a trasmettere. Non un programma è stato interrotto.