Perchè 1984 è il passato
Discussione con un compagno della mensa occupata di Via Mezzocannone, Napoli, nel merito dei fatti di due settimane fa prima e durante la finale della Coppa Italia. Partendo dal comunicato scritto dalla palestra popolare Vincenzo Leone, affrontiamo il tema del mondo ultras, decontestualizzato e demonizzato dai media ufficiali, ma che in realtà rappresenta lo specchio della nostra società, oltre che un’efficace valvola di sfogo e laboratorio di repressione da parte dello.
Di seguito il comunicato e l’audio dell’intervista.
Sono passati più di dieci giorni dagli spari esplosi contro i tifosi del Napoli nei pressi dell’Olimpico. Le cronache sono note a tutti e non abbiamo alcuna intenzione di dilungarci su quanto avvenuto. Non ci affanneremo in riflessioni sociologiche, in studi sulle realtà sociali che vediamo proliferare in rete e che non ci appartengono. Se prendiamo parola è solo per condividere alcune riflessioni sul mondo dello sport e sulla repressione di ogni fenomeno aggregativo. Noi che viviamo di pane e spogliatoio non vogliamo rimanere in silenzio di fronte a tutto quello che vediamo accadere attorno a noi.
I fatti dell’Olimpico sono serviti a dare nuovo impulso a percorsi repressivi che si cerca di imporre da anni ma che la società non è ancora disposta ad accettare. Di fronte a contraddizioni non comprimibili il solo programma sociale che abbiamo visto realizzarsi in questi anni è quello repressivo/detentivo che necessita di una legittimazione. I fatti stessi non sono sufficienti a far passare i provvedimenti repressivi come atti obbligati di una società minacciata.
Sbattere il mostro in prima pagina, lasciare che l’opinione pubblica inquadri bene il suo prossimo nemico è il gioco a cui assistiamo ormai da tempo. Lo zingaro, il Notav, l’immigrato, il rom… l’ultras. C’è bisogno di tempo, di un martellamento scientifico affinché le persone facciano propria questa verità, che si allontanino da sé e dalle proprie esperienze, finendo per accettare ciò che i media propongono come verità. Così, l’immigrato che lava i vetri allo stesso semaforo sotto casa da dieci anni, all’improvviso diviene un pericolo costante, una minaccia incombente. La strategia della paura è dunque il primo, indispensabile passo, affinché vengano considerate necessarie misure sempre più restrittive della libertà individuale. I giornalisti hanno accettato questo ruolo assolutamente organico alla repressione e ne costituiscono un tassello indispensabile.
La strategia della paura è, dunque, un corollario indispensabile affinchè il teorema repressivo funzioni.
Tornando al caso specifico, i paradossi che lo contraddistinguono sono davvero così macroscopici da rendere impossibile credere alla buona fede di chicchessia. Non si contano più i servizi giornalistici sul Napoli e sui suoi tifosi. Un processo di criminalizzazione che attraversa l’intero arco costituzionale. Evidentemente nell’epoca in cui viviamo, un ragazzo in pericolo di vita in ospedale perché raggiunto al petto da un proiettile di una 7,65 di un fascista infame, non è abbastanza importante quanto una maglietta in cui si chiede la libertà di Speziale. Ma nessuno si è preoccupato neanche di citare le incongruenze che hanno portato alla revisione del processo. In compenso, però, giornali e televisioni hanno fatto a gara per accaparrarsi un’intervista alla moglie di Raciti; ci chiediamo perché nessuno si assuma la responsabilità di rendere noto quanto abbia provveduto a lucrare sulla morte del marito con accorati appelli alla beneficenza, fino a comprare appartamenti e ville in Sardegna. Ma non è importante se Speziale sia colpevole o innocente, non interessa a nessuno. L’importante è che abbia tutte le caratteristiche del mostro.
Chi è veramente necessario è Raciti.
Raciti è servito per introdurre il Daspo e adesso serve per estenderlo nel tempo e nello spazio.
Neanche il tempo di conoscere le condizioni di Ciro che già si parlava di Daspo a vita. Sarà un caso? Un’idea balzata in testa ad Alfano come un’illuminazione durante gli highlights di Fiorentina-Napoli?
E’ ormai noto che lo stadio rappresenta un laboratorio repressivo in cui sperimentare nuovi strumenti repressivi (si pensi ai lacrimogeni al cs, vietati dalle convenzioni internazionali nelle guerre, ma utilizzati in Italia per l’ordine pubblico a cominciare dagli stadi). Il daspo è la realizzazione perfetta della repressione perché nessun tribunale deve comminarlo in quanto atto amministrativo. Il questore potrebbe decidere liberamente, senza nessun giudice, chi debba essere interdetto dagli stadi a vita. Ma questo non è abbastanza, non ci si accontenta di chiedere l’estensione del Daspo nel tempo. Deve essere allargato anche a nuovi ambiti. L’ipotesi del Daspo per partecipare o meno a manifestazioni politiche è un vecchio pallino di Alfano che già da anni propone l’estensione del provvedimento anche ad altri ambiti. Se guardiamo alla Val Susa ciò che accade con il foglio di via non è poi così diverso, che si tratti di prodromi di provvedimenti ancor più restrittivi?
Ma Raciti serve anche per far dimenticare le immagini degli applausi dei poliziotti agli assassini di Aldrovandi, cinque minuti di vergogna che chiariscono in modo inequivocabile l’impossibilità di parlare di “poche mele marce”, ma che si tratta di albero marcio fin dalle radici. Proprio qualche giorno fa nella partita Viareggio-Prato due ragazzi sono stati fermati perché avevano esposto uno striscione in cui si faceva riferimento agli applausi del Sap e in memoria di Aldro; per loro scatterà, neanche a dirlo, il Daspo!
Ciò che salta agi occhi è che si costruisce un immagine del nemico pubblico senza che lo stesso abbia fatto nulla. Non è più richiesto un atto eclatante per far breccia nelle coscienze. Basta una maglietta, basta una parola, basta un pensiero per essere nemico di questa società. La strategia della paura è in moto e non si ferma. Nel 1984 di Orwell, Winston abbandona la realtà e vede ciò che i suoi torturatori vogliono che veda, nella nostra realtà non c’è bisogno di elettrodi, né di violenze. Basta la televisione e la polizia ad ogni angolo per convincere che il pericolo sia imminente.
Per queste ragioni non vogliamo consegnare il nostro percorso in pasto ai giornalisti, sempre più parte del paradigma repressivo cucito su questa “democrazia”; in secondo luogo non ci sentiamo di condividere collettive richieste di “Verità” o “Giustizia” per la semplice ragione che l’una la conosciamo già mentre l’altra sappiamo fin da ora come andrà a finire.
Nel concludere questo stringatissimo comunicato rinnoviamo la nostra vicinanza a Ciro, Gennaro e Alfonso che consideriamo dalla nostra parte indipendentemente dalla loro condizione sociale o lavorativa. Cosa facciano per campare è un interrogativo che lasciamo volentieri alle questure. ll nostro criterio di appartenenza non lo si stabilisce con il codice penale alla mano.
Nell’epoca dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario.
CIRO E GENNARO RESISTETE
PALESTRA POPOLARE VINCENZO LEONE (NAPOLI)
criminalizzazione ultras Napoli