Criminali in divisa e la mamma di Aldro
La polizia insulta, pesta, tortura, uccide. Solo raramente i crimini dei servitori dello Stato affiorano dal silenzio e dall’omertà che li coprono per divenire casi noti e discussi. Ancor più raramente gli atti più feroci tra i pochissimi che divengono di pubblico dominio, finiscono con un’inchiesta, un processo, una condanna.
Il caso di Federico Aldrovandi, un ragazzo di 18 pestato a morte mentre tornava a casa dopo una serata con gli amici, è uno di questi.
Solo la disperata tenacia della sua mamma ha consentito che le menzogne della polizia venissero smentite. La condanna – sia pure lieve – dei quattro poliziotti assassini costituisce un precedente che la polizia non può tollerare, perché mette in discussione l’impunità di cui godono da sempre uomini e donne in divisa.
Hanno reagito secondo il loro stile dopo la conferma della condanna dei colleghi per l’assassinio di Federico Aldrovandi.
Un gruppo del sindacato Coisp ha fatto un presidio di fronte al comune di Ravenna, dove lavora Patrizia Moretti, la mamma del ragazzo ucciso.
Un vergognoso tentativo di intimidazione verso una donna che ha affrontato un calvario durato otto anni. Lei ha reagito con forza e dignità, scendendo in strada e mostrando ai poliziotti la foto del figlio morto, con il capo in un lago di sangue.
Questa vicenda è stata occasione di una chiacchierata con Robertino Barbieri, un compagno con il quale abbiamo esaminato le strategie disciplinari e gli infiniti poteri di un apparato di polizia tra i più numerosi e ramificati al mondo.