Intervista con una compagna del fronte Palestina di Milano

Immagine int. MilanoCollegamento con una compagna del Fronte Palestina durante la proiezione del film-documentario “The fading valley”. La compagna, denunciando la pulizia etnica che Israele porta avanti da 67 anni sulla terra di Palestina e la presenza dell’entità sionista all’Expo, affiancata dall’ANP, ha rilanciato il presidio di venerdi 15 maggio ore 18.00 in Piazzale Cadorna a Milano.

PALESTINA: 67 ANNI DI OCCUPAZIONE – 67 ANNI DI RESISTENZA

Commemoriamo la Nakba del 1948 (in arabo catastrofe) rimarcando con forza il Diritto al Ritorno per ogni palestinese che voglia ritornare nella propria terra, perché è la speranza del ritorno ciò che ha permesso alle masse dei rifugiati di resistere alla propria crisi d’identità ed è quella che mantiene la determinazione alla lotta e al sacrificio.

Sono trascorsi 67 anni da quei giorni sanguinosi del 1948 ma i tragici avvenimenti di allora segnano ancora la vita di milioni di palestinesi. Per noi ricordare la Nakba non è solo una ricorrenza per onorare le vittime, commemorare la Nakba significa anche sostenere oggi la Resistenza e l’unità di tutto il popolo palestinese, della Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme, dei territori del ’48 e della diaspora, ma significa anche ricordare i prigionieri, poiché la loro liberazione rappresenta uno dei punti cardine su cui si uniscono le forze della Resistenza. Il popolo palestinese seppe presto alzarsi e combattere per riprendere ciò che gli era stato sottratto con la forza e il tradimento di diversi governi arabi e mondiali che hanno mantenuto tale posizione con l’appoggio e la protezione dell’entità criminale sionista.

Quell’anno è passato nella memoria collettiva non solo dei palestinesi ma di tutti gli arabi come l’anno della NAKBA. Ma la pulizia etnica fu progettata molto prima ed attuata da ebrei sionisti a partire dal Congresso Sionista Mondiale tenutosi a Basilea nel 1897, durante il quale fu proposta per la prima volta l’idea di costituire uno Stato in Palestina. I rabbini di Vienna inviarono due loro rappresentanti per verificare se il paese fosse adatto a questa impresa; le due persone sintetizzarono il risultato delle loro esplorazioni in questo telegramma: “la sposa è bella, ma sposata a un altro uomo”. Con disappunto avevano scoperto che la Palestina, sebbene avesse tutti i requisiti per diventare lo Stato ebraico che i sionisti desideravano, non era, come lo scrittore Israel Zangwill ebbe più tardi ad affermare, “una terra senza un popolo per un popolo senza terra”. Ma il colonialismo sionista residenziale, sostituendo la popolazione nativa con quella colonialista attraverso la mattanza (alla pari del colonialismo in Australia, Nuova Zelanda, nelle Americhe), pur cancellando del tutto interi villaggi e città palestinesi non è riuscito nel proprio intento. Si tratta di fatti per lo più sconosciuti, stante il clima di propaganda che sul tema della storia palestinese si perpetua. Le espulsioni recisero i legami tra palestinesi e la loro struttura sociale. Un’intera società si disgregò, ma le case e i villaggi abbandonati divennero i luoghi della memoria: sradicati, i profughi palestinesi ovunque fossero hanno in quella memoria perpetuato la propria identità di popolo.

Il generale israeliano Yeoshafat Harkabi ha scritto: “l’affermazione che la venuta degli ebrei in Palestina e la creazione d’Israele sono la causa del conflitto arabo-israeliano è corretta”: organizzazioni terroristiche come Palmach (gruppo di assalto), L’Haganah ( il braccio armato dei sionisti), Irgun e Banda Stern si resero colpevoli di numerosi massacri. Ne ricordiamo alcuni:

Jaffa, bombardata il 25 aprile, il panico era enorme, si cominciò a fuggire per le strade e con le barche, tre giorni dopo i sionisti (della Brigata ebraica) hanno fatto saltare con la dinamite ogni singola casa situata ai lati della strada principale di Jaffa. Dopo la fuga degli abitanti le bande sioniste hanno sottoposto case e negozi ad un saccheggio sistematico. Tutto ciò che era trasportabile fu portato via da Jaffa: mobili, tappeti, quadri, terrecotte, vasellame, posateria, gioielli…

Ma il massacro forse più infame è quello compiuto il 9-10 aprile 1948 nel villaggio palestinese di Deir Yassin, in cui i terroristi sionisti hanno sistematicamente ucciso 254 contadini palestinesi, giovani e vecchi, donne e bambini. Deir Yassin, non è stato, tuttavia, un episodio isolato. Secondo Nathan Chofschi, testimone dei crimini sionisti, la tattica usata a Deir Yassin era consueta. In risposta all’affermazione di un rabbino americano secondo il quale i palestinesi erano andati via spontaneamente, egli ha scritto: “se il rabbino Kaplan vuole veramente sapere cosa è accaduto, noi vecchi coloni della Palestina, testimoni della guerra, possiamo dirgli come ed in che modo noi, gli ebrei, abbiamo costretto i palestinesi ad abbandonare città e villaggi. Alcuni sono stati scacciati con le forze delle armi, altri con l’inganno, le menzogne e le false promesse. Basta ricordare Jaffa, Lydd, Ramle, Beersheba, Tanturah ed Acre, fra le innumerevoli altre”. ( The Jewish Newsletter, New York, 9 febbraio 1959).

“Vi chiedo di rimanere gli stessi

per quelli che sono in esilio e quelli che sono rimasti.

Il tempo passa e se tornassi a casa mia

La dipingerei di hennè per i miei cari” (Canzone palestinese)

Fronte Palestina

APPUNTAMENTO A MILANO ALLE ORE 18.00 IN PIAZZALE CADORNA